Come è nata e che cosa è la “Officina dello scrivere ad alta voce”
“Officina dello Scrivere ad Alta Voce” è un sogno realizzato. A conferma che, se ci credi, puoi farcela in vari campi della vita. Ricordo la mattina in cui Rosa Anna Ianni ed io ci incontrammo al tavolo di un bar nel quartiere di Fossitermi – La Spezia, vicino casa mia. Non ci vedevamo da molto tempo e ritrovarci così è stato un dono. Personalmente ero reduce da un cataclisma familiare che aveva investito ogni fibra del mio essere, rischiando di annientarmi. Parlare con Rosanna per dare vita a un progetto comune ha rappresentato sicuramente l’aiuto di cui avevo bisogno. Anni prima avevamo partecipato entrambe ad un laboratorio di scrittura che ci era rimasto nel cuore e ricordavamo con riconoscenza perché ci aveva interiormente arricchite. Avevamo nostalgia delle compagne di penna di quei lontani giorni. Perché dunque non contattarle? Qualcuna avrebbe risposto, potevamo insieme a loro cercare voci nuove e formare un gruppo di allieve tutto nostro… che idea!
Beh, ci abbiamo creduto ed è nata la nostra “Officina”. Il nome con cui la abbiamo battezzata la dice lunga sul lavoro che vi si svolge, si lavora appunto imparando ad usare i “ferri del mestiere”. “Scrivere ad Alta Voce” significa che da noi si scrive, ma anche si legge molto e si legge “ad alta voce” appunto. Di questo in particolare si occupa Rosanna, ma entrambe siamo convinte che non si possa certo scrivere se non si impara a leggere, e molto…
A Ottobre 2014 abbiamo iniziato la nostra avvventura. Il prossimo mese l’Officina compirà 8 anni. Incredibile, ma vero!
Devo dire che non ci siamo mai arrese, finora abbiamo cambiato due sedi, ma non ci siamo arrestate neanche nel duro periodo del lock down 2020, continuando gli incontri online.
Lo scorso anno siamo riuscite a tornare in presenza con un piccolo gruppo, mentre l’altro ha proseguito online.
L’Officina accoglie chiunque abbia il coraggio e la voglia di mettersi in gioco, per partecipare non è richiesto alcun titolo di studio, non si fanno discriminazioni di sorta, tipo differenze di genere sociale, di età, di sesso… C’è da notare, questo sì, carenza di partecipazioni maschili… La cosa ci spiace e fa riflettere parecchio.
Facciamo tre serie di 10 incontri, il primo da inizio ottobre fino a Natale, il secondo da gennaio a Pasqua, il terzo da aprile a giugno. Tra una serie di 10 incontri e l’altra, organizziamo letture pubbliche dei lavori degli allievi, aperte al pubblico e sempre emozionanti. Lo scorso anno abbiamo finalmente pubblicato una raccolta antologica , selezionando le migliori produzioni narrativo-poetiche comprensive dei primi 7 anni. Opera che ci ha impegnate a lungo e di cui andiamo orgogliose.
In questi anni l’Officina ha inoltre partecipato a varie iniziative ed eventi culturali del nostro territorio, e a letture in giornate speciali, tipo “La giornata della Memoria”, oppure “La giornata contro la violenza alle donne”, o ancora la “Giornata in commemorazione dei libri bruciati in piazza dai nazisti” o giornate in ricordo della nascita/morte di grandi autori, tipo Dante, Shakespeare, Sepulveda, ecc…
Insomma, il bagaglio della nostra cartella è ricco e vario, numerose locandine colorate come aquiloni costellano le tappe di un percorso che ci ha dato tanto, non in termini economici, ma di cuore, di passione e fede nella bellezza che ancora esiste in questo mondo difficile.
L’Officina contribuisce, nel suo piccolo, a diffondere una cultura che non sia erudizione, ma sapere condiviso.
Alla Gora
Alla “Officina dello scrivere ad alta voce”, tra i molteplici esercizi proposti, a volte si ascoltano audio e si scrive su quel che la musica o i suoni ascoltati ci ispirano… Questo è un mio contributo, dopo l’ascolto di suoni di natura: si doveva “vedere” con gli occhi ciò che avevamo “ascoltato” con le orecchie…
Chiudo gli occhi: sono alla Gora, così la chiamano in paese: scende giù dai monti impetuosa e la sua acqua è ghiacciata in ogni stagione, vedo il punto in cui si allarga, un po’ sotto l’abitato, fomando gorghi e mulinelli insidiosi, vedo i ciottoli levigati e lucidi sotto la superficie, vedo i quattro lastroni grandi e larghi che tagliano di traverso il suo letto e sembrano messi lì apposta per il guado, ma in effetti servono soprattutto a loro: alle lavandare.
Vedo piedi nudi già a bagno da un’ora, polpacci robusti da contadina e lunghe gonne tirate su con l’elastico in vita, vedo mani arrossate dal gelo e braccia forti che battono i panni sulla pietra – ne hanno portato un bel carico da casa, stipandoli dentro le ceste.
Vedo teste chine intente al lavoro, non tutte però: c’è una lunga chioma corvina spiovente, che la più giovane tenta invano di scostare dal viso col dorso della mano insaponata. Le arriva fino in vita. Vedo le occhiatacce che le lancia la donnona a lei di fronte: <<Prima o poi a te gi tagio de note, sti cavelaci!>>, mugugna. Vedo la smorfia e la scrollata di spalle della ragazza in risposta alla minaccia materna: non li raccoglierà mai in un ridicolo ciuffo, come le altre!
Vedo una vecchia, viso di luna, occhi di cielo, sciogliere lentamente il ciuffo che suole portare alto sul capo, afferrare un pettine… Si trova nel bagno di casa, insieme alla sua nipotina, vedo la bimba che osserva estasiata il rito serale, allunga un ditino a sfiorarle la chioma:<<Che belli, nonna! Perché non li lasci sempre così? Ti arrivano in vita”>>.
Ha senso fare poesia nella nostra epoca?
Volete sapere la verità? Non me lo chiedo. Grazie al cielo non tutto ha un senso, né dobbiamo accanirci a trovarlo ovunque. Anche se la poesia può sembrare un “non senso” nell’era della tecnologia e della meccanizzazione omologata, per me rimane essenziale come l’aria che respiro.
Sì, per me fare poesia è respirare. Mai come ora possiamo renderci conto di quanto il respiro – tanto connaturato in noi, che lo diamo per scontato – sia vita. Senza il respiro si è morti. Ebbene, in poesia (ma anche in prosa), le pagine devono “respirare”. Pensiamo all’importanza delle pause, degli a capo, dei silenzi, dei vuoti. In poesia tutto ha importanza, anche gli spazi fra le righe.
Il respiro è ciò che dà il ritmo. Altro elemento fondamentale. La parola ritmo viene dal verbo greco “rein”, che significa SCORRERE. Visualizziamo l’immagine del fiume che scorre: i versi devono scorrere, fluire, cantare, suonare.
Fare poesia è un progetto musicale. La composizione della scrittura ha regole molto simili a quelle della composizione musicale, si tratta di comporre una “tessitura sonora”: ci sono le sonate, le sinfonie, gli adagio… IL ritmo può essere lento, tipo un adagio musicale, fra il largo e l’andante, oppure frammentario, spezzato, concitato, rapido, conciso…
Italo Calvino soleva dire che ogni volta che si apre un libro ci si imbatte in qualche mezzo di trasporto: possiamo trovare il ritmo della locomotiva, della carrozza, dell’automobile, del razzo…
Si dice che chi possiede un orecchio musicale (e questo è innato) meglio riesca in poesia, ma – naturalmente – la tecnica si può apprendere ed è molto questione di esercizio costante e anche di familiarità con la lettura. Mai mi stancherò di dire che chi non legge non può scrivere. Un buon ritmo è costituito da un lavoro costante sul taglio delle frasi, sulla scelta non scontata dei vocaboli, sull’uso della sintassi, su quello della punteggiatura…
L’improvvisazione non esiste: cancelliamo l’immagine dell’ispirazione come manna che cade dal cielo… cosa risibile. Fare poesia non è rimanere col naso all’aria ad aspettare chissà che… Per quanto mi riguarda la poesia è comunque più immediata della prosa: mentre un racconto, prima di uscire alla luce, rimane a lungo a “rotolare” nella mia mente e necessita di una gestazione profonda, scrivere poesia è atto molto più immediato. La poesia ha il dono della sintesi.
Il termine “poesia” deriva dal verbo greco “poièin” che significa “fare, creare, generare, produrre”, è quindi simbolo di concretezza, frutto di “creazione”. La parola crea. Pensiamo al libro della Genesi, in cui è scritto che Dio disse: “Sia la luce!” E la luce fu. La parola crea, la parola determina. Dio, non volendo che l’uomo fosse solo, plasmò tutte le altre creature, poi le presentò ad Adamo perchè desse loro un nome. Dare un nome alle cose è la cosa stessa. Con la parola si crea e si distrugge. La sua potenza è grandiosa e terribile, non dimentichiamolo. Il segno che la lettera esprime ed il suono ad essa legato sono una vera forza.
L’idea del poeta/poetessa visto come uno strambo/stramba, visionario, con la testa sulle nuvole, idealista e troppo spesso piagnone mi indigna. Perché fare poesia non è questo. Il poeta è solo? Altro quesito. Parlando di me: certo, quando scrivo sono sola. E, siccome spesso scrivo in cammino, (la mia ultima raccolta s’intitola “Taccuini d’emozione” proprio perché si tratta di poesie scritte in cammino, annotate sui miei quadernetti belle calde e fragranti), mi capita di scrivere sostando su un muretto, una panchina di pietra, un sasso, ovunque. Il mio rapporto col foglio è un bisogno, è magia, confessione, cura, svelamento (mi chiarisce chi sono veramente, e magari prima non me ne rendevo conto). Quando scrivo mi spoglio della corazza, lascio cadere i blocchi, le censure, scardino i paletti, mi libero, sono me stessa, sono nel “qui e ora”. Sola, ma connessa col Tutto, mi sento parte dell’Universo fuori e dentro me, i nodi si sciolgono, perché finalmente “lascio che sia”. LET IT BE. Sono sola ma connessa col mondo esterno e interno.
Altra idea che rinnego è infatti quella del poeta chiuso in una torre d’avorio, il poeta che si rivolge ad una stretta “elite” d’iniziati.. Assurdità. Il poeta deve parlare a tutti e riuscire a farsi comprendere da tutti, il poeta sta nel mondo, agisce nel mondo, unito alle creature umane, animali e vegetali che lo popolano. A loro si rivolge e da esse trae nutrimento. C’è sempre nelle mie raccolte una sezione dedicata ai “Ritratti” di umani e animali che hanno lasciato un segno importante nella mia vita.
Ringrazio la poesia, che mi ha aiutata ad attraversare prove molto forti, a risorgere dall’abisso, la poesia che sgorga dall’anima, che è sbocco alle emozioni, canto del cuore, bisogno imprescindibile, la poesia che lava e cura il dolore.
l’Antologia della Officina dello Scrivere ad Alta Voce è venuta alla luce
Ho il piacere di annunciare la nascita della Antologia della “Officina dello Scrivere ad Alta Voce”, il corso di lettura e scrittura che, insieme alla mia collega Rosa Anna Ianni, abbiamo realizzato nell’autunno 2014. Un’avventura iniziata con entusiasmo e l’audacia necessaria per portare avanti ogni impresa nella vita.
Il volume raccoglie i lavori dei nostri allievi nell’arco di tempo 2014-2019; comprende brani di narrativa e poesia, ma anche esercizi di scrittura estemporanea, che si fanno nei nostri incontri. Scritture e stili sono completamente diversi tra loro, com’è naturale che sia: ci sono brani intensi, molto toccanti, ed altri più leggeri conditi d’ironia, ricordi d’infanzia, scritture graffianti ed altre più ingenue, a volte malinconiche, il tutto però sempre intriso di dignità e verità.
L’Officina è aperta a tutti coloro che sono disposti a mettersi in gioco, senza alcuna distinzione di età, cultura, estrazione sociale, ecc. Siamo convinte che lettura e scrittura siano inscindibili e debbano essere entrambe coltivate, e su esse abbiamo impostato il lavoro di questi anni.
Leggere ad alta voce è impresa non semplice, ma molto utile e stupenda… ricordo con piacere un professore del ginnasio che dedicava un’ora alla settimana per farci leggere in classe ad alta voce i Promessi Sposi. Ebbene, a lui devo riconoscenza, perché davvero è riuscito a farmi amare ed apprezzare in ogni sfaccettatura quel romanzo che commentava poi mirabilmente (ho ancora segnati a matita gli appunti che prendevo a margine del libro, estrapolandoli dalle sue parole).
Al nostro laboratorio si imparano le tecniche per leggere con chiarezza ed espressività i propri testi e quelli di altri autori.
Siamo consapevoli che non è facile mettersi a nudo davanti al foglio bianco e leggere ad alta voce quanto si è scritto: può capitare che la voce tremi, le mani sudino, si formi un nodo in gola e le parole stentino ad uscire (questo, logicamente, quanto più ciò che si è scritto tocca corde profonde dell’animo e parti dolorose del vissuto). Ma all’interno dei nostri gruppi la parola d’ordine è “RISPETTO”, c’è naturalmente la possibilità di esprimere pareri e consigli su ciò che si ascolta, ma mai giudizi sulle singole persone, sul bagaglio di vita di ognuno.
L’Antologia rispecchia esattamente tutto questo, Rosanna ed io siamo fiere della sua realizzazione, frutto di un attento e lungo lavoro di selezione delle opere prodotte in questi anni, nonché frutto di ore di correzioni (anche ortografiche, diciamolo!), di impaginazioni ed editing, con tutti i problemi che ne conseguono… Non abbiamo contato il numero di versioni e bozze realizzate prima di arrivare al prodotto finale (c’era sempre qualcosa che non andava: i margini troppo stretti, le spaziature da eliminare o aggiungere ogni volta, l’inizio di un brano che magari, nella nuova versione, era salito nella pagina precedente, mescolandosi al brano di un altro autore…) Un lavoro certosino, di allenamento per la nostra pazienza…. lo ammetto.
La soddisfazione, però, di averlo portato a termine, non ha prezzo.
Ci auguriamo piaccia a chi vorrà leggerla, per noi è come un figlio, anzi una figlia, e le diamo il benvenuto alla luce.
Sugli emoticon e altro….
Oggi vorrei dire due parole (magari non frega a nessuno, potete quindi evitare di leggere), vorrei dire due cosette così, sugli emoticon, gli sticker, i GIf, insomma ‘ste robe che stanno sul cellulare, sul computer, su tutto… che ne sei invaso, che a volte vorrei seppellirle dentro un vaso di quelli di un tempo, da notte, avete presente? Lasciarle lì a mollo per un po’. A navigare nel liquido interstellare…
Ma cosa dici Marghe? Sei proprio fuori dal coro, una troglodita, un brontosauro, un lucertolone di Komodo… ormai le usano tuttiiiii. Stattene zitta, ohibò! Sei la civetta sul comò. Se continui ti bloccherò.
Ma certo, lo so: ormai ci esprimiamo a faccine. C’è quella che piange, quella che ride, quella che getta fiumi di lacrime mentre ride, quella che manda bacini a destra, l’altra a sinistra, quella pensosa, quella rassegnata con le manine incrociate… Sono così comode! Si usano per risposte rapide, o anche dopo aver messo una immagine, un ricordo, ci piazzi di fianco la faccina, commentando (per i duri di comprendonio, come me); tipo: Mario Rossi – faccina – stupito… e metti quella che guarda in su, con lo sguardo da pesce lesso…
Che poi, bisogna capirsi: io, ad esempio, spesso nun ce sto a capi’ un tittirittì!. Mi spiego: se ti mando una frase, uno scritto, una foto solari, positive, e tu mi rispondi con la faccetta di Munch… beh, senti, mi viene spontaneo cantarti “Te c’hanno mai mannato…”come, il grande Alberto Sordi.
Per inciso: povero Munch, la sua arte finita in emoticon! Va beh, ma anche questo è pubblicità, no? Fa audience, fa glamour, fa figo, è indice di successo. Perfetto. Come non detto.
Del resto, le uso pure io queste meraviglie della tecnica, frutto d’intelligenza sopraffina; essendo una troglodita uso però quelle più “elementari”, che si capiscono subito, tipo il cuore, le labbra sorridenti, l’abbraccio, il gesto di o.k. Devo dire che una di quelle da me più gettonate è marroncina, a forma di piramide, con gli occhietti furbi e la bocca sorridente… (avete presente?)
Ultimamente ho scoperto gli sticker, grazie a delle amiche che me ne inviano a iosa col buongiorno, tipo la tazzina col cappuccino a forma di cuore, la tazzina che piange, quella rossa indiavolata… ecc. … Vedete, in fondo mi sto “modernizzando”. Vai Marghe, che ce la puoi fare!
Il massimo però sono i GIF: tanta roba! Le immagini animate, il trionfo della demenza, da pescare con la lenza, che goduria! Meglio di una fetta di anguria. Ci trovi di tutto e di più, le scorri su e giù e scegli… a caso anche meglio, fa più effetto, come aprire o chiudere un rubinetto, veloce zac zac… eccotela qua, la prima che capita sotto il dito te la scodello, in risposta al tuo messaggio bello!
Viva la risposta già preparata, esposta in vetrina, viva la risposta fina! PRONTA, SPEDITA, SCODELLATA E MONDA DI SIGNIFICATO.
ViVA IL CERVELLO AZZERATO.