Volete sapere la verità? Non me lo chiedo. Grazie al cielo non tutto ha un senso, né dobbiamo accanirci a trovarlo ovunque. Anche se la poesia può sembrare un “non senso” nell’era della tecnologia e della meccanizzazione omologata, per me rimane essenziale come l’aria che respiro.
Sì, per me fare poesia è respirare. Mai come ora possiamo renderci conto di quanto il respiro – tanto connaturato in noi, che lo diamo per scontato – sia vita. Senza il respiro si è morti. Ebbene, in poesia (ma anche in prosa), le pagine devono “respirare”. Pensiamo all’importanza delle pause, degli a capo, dei silenzi, dei vuoti. In poesia tutto ha importanza, anche gli spazi fra le righe.
Il respiro è ciò che dà il ritmo. Altro elemento fondamentale. La parola ritmo viene dal verbo greco “rein”, che significa SCORRERE. Visualizziamo l’immagine del fiume che scorre: i versi devono scorrere, fluire, cantare, suonare.
Fare poesia è un progetto musicale. La composizione della scrittura ha regole molto simili a quelle della composizione musicale, si tratta di comporre una “tessitura sonora”: ci sono le sonate, le sinfonie, gli adagio… IL ritmo può essere lento, tipo un adagio musicale, fra il largo e l’andante, oppure frammentario, spezzato, concitato, rapido, conciso…
Italo Calvino soleva dire che ogni volta che si apre un libro ci si imbatte in qualche mezzo di trasporto: possiamo trovare il ritmo della locomotiva, della carrozza, dell’automobile, del razzo…
Si dice che chi possiede un orecchio musicale (e questo è innato) meglio riesca in poesia, ma – naturalmente – la tecnica si può apprendere ed è molto questione di esercizio costante e anche di familiarità con la lettura. Mai mi stancherò di dire che chi non legge non può scrivere. Un buon ritmo è costituito da un lavoro costante sul taglio delle frasi, sulla scelta non scontata dei vocaboli, sull’uso della sintassi, su quello della punteggiatura…
L’improvvisazione non esiste: cancelliamo l’immagine dell’ispirazione come manna che cade dal cielo… cosa risibile. Fare poesia non è rimanere col naso all’aria ad aspettare chissà che… Per quanto mi riguarda la poesia è comunque più immediata della prosa: mentre un racconto, prima di uscire alla luce, rimane a lungo a “rotolare” nella mia mente e necessita di una gestazione profonda, scrivere poesia è atto molto più immediato. La poesia ha il dono della sintesi.
Il termine “poesia” deriva dal verbo greco “poièin” che significa “fare, creare, generare, produrre”, è quindi simbolo di concretezza, frutto di “creazione”. La parola crea. Pensiamo al libro della Genesi, in cui è scritto che Dio disse: “Sia la luce!” E la luce fu. La parola crea, la parola determina. Dio, non volendo che l’uomo fosse solo, plasmò tutte le altre creature, poi le presentò ad Adamo perchè desse loro un nome. Dare un nome alle cose è la cosa stessa. Con la parola si crea e si distrugge. La sua potenza è grandiosa e terribile, non dimentichiamolo. Il segno che la lettera esprime ed il suono ad essa legato sono una vera forza.
L’idea del poeta/poetessa visto come uno strambo/stramba, visionario, con la testa sulle nuvole, idealista e troppo spesso piagnone mi indigna. Perché fare poesia non è questo. Il poeta è solo? Altro quesito. Parlando di me: certo, quando scrivo sono sola. E, siccome spesso scrivo in cammino, (la mia ultima raccolta s’intitola “Taccuini d’emozione” proprio perché si tratta di poesie scritte in cammino, annotate sui miei quadernetti belle calde e fragranti), mi capita di scrivere sostando su un muretto, una panchina di pietra, un sasso, ovunque. Il mio rapporto col foglio è un bisogno, è magia, confessione, cura, svelamento (mi chiarisce chi sono veramente, e magari prima non me ne rendevo conto). Quando scrivo mi spoglio della corazza, lascio cadere i blocchi, le censure, scardino i paletti, mi libero, sono me stessa, sono nel “qui e ora”. Sola, ma connessa col Tutto, mi sento parte dell’Universo fuori e dentro me, i nodi si sciolgono, perché finalmente “lascio che sia”. LET IT BE. Sono sola ma connessa col mondo esterno e interno.
Altra idea che rinnego è infatti quella del poeta chiuso in una torre d’avorio, il poeta che si rivolge ad una stretta “elite” d’iniziati.. Assurdità. Il poeta deve parlare a tutti e riuscire a farsi comprendere da tutti, il poeta sta nel mondo, agisce nel mondo, unito alle creature umane, animali e vegetali che lo popolano. A loro si rivolge e da esse trae nutrimento. C’è sempre nelle mie raccolte una sezione dedicata ai “Ritratti” di umani e animali che hanno lasciato un segno importante nella mia vita.
Ringrazio la poesia, che mi ha aiutata ad attraversare prove molto forti, a risorgere dall’abisso, la poesia che sgorga dall’anima, che è sbocco alle emozioni, canto del cuore, bisogno imprescindibile, la poesia che lava e cura il dolore.
È esattamente così. E non si può aggiungere altro.
La poesia è una nuvola sospinta dal vento, musica che cattura il profondo, e’ gioco di magia che trasforma il mondo…per questo ti sono grata, Margherita, per i tuoi versi che sono un inno alla vita e curano e coccolano l’anima